SCIENZA

La soglia critica e malattia di Huntington

Recentemente un gruppo di ricercatori dell’Harvard Medical School, del Broad Institute del MIT e di altri istituti di ricerca statunitensi ha pubblicato sulla prestigiosa rivista Cell uno studio che riguarda la malattia di Huntington, un disturbo neurodegenerativo caratterizzato dalla graduale perdita di specifici neuroni nello striato, un’area del cervello coinvolta nel controllo dei movimenti volontari.

La malattia di Huntington, chiamata così dal nome del medico americano George Huntington che la descrisse per la prima volta alla fine del 1800, è causata dalla ripetizione anomala della tripletta CAG nel primo esone del gene HTT, che codifica per la proteina huntingtina. La maggior parte delle persone possiede un numero limitato di ripetizioni, da 15 a 30 triplette CAG consecutive. Al contrario, le persone che manifestano la malattia hanno in media più di 36 ripetizioni: si è visto, inoltre, che, sebbene con una certa variabilità, più sono le triplette ripetute più precoce è l’esordio della malattia. La malattia di Huntington, ad oggi purtroppo ancora fatale, è una malattia autosomica dominante, ovvero è sufficiente che il paziente erediti una sola copia mutata del gene (dal padre o dalla madre), affinché insorga la malattia. 

Questo studio cerca di rispondere a tre domande fondamentali sulla patologia, rimaste ancora irrisolte: 

  1. perché la neurodegenerazione è così specifica per certi neuroni, i cosidetti Striatal Projection Neurons o SPN?
  2. perché la comparsa dei sintomi avviene solo dopo molti decenni? Infatti, nonostante l’allele mutato sia presente fin dalla nascita, i segni clinici emergono in media fra i 40 e i 50 anni;
  3. quali sono i meccanismi molecolari, che portano i neuroni con eccessiva ripetizione di triplette CAG alla morte, causando un danno neurologico irreversibile?

Gli scienziati hanno studiato le cellule SPN con un approccio innovativo: partendo da campioni di tessuto donati da pazienti con e senza la malattia, hanno dapprima isolato i nuclei delle cellule SPN e poi, applicando la tecnica del single-nucleus RNA sequencing (snRNA-seq), hanno registrato quali geni risultavano accesi e quali spenti in ciascun nucleo. In parallelo, tramite l’impiego di altre tecniche molecolari, hanno quantificato con precisione il numero di ripetizioni CAG nel gene HTT in ogni singolo nucleo analizzato. L’obiettivo? Cercare di evidenziare eventuali correlazioni tra l’espansione delle triplette, i cambiamenti nell’espressione genica e gli eventi biologici che portano i neuroni alla morte cellulare.

Analizzando i dati, gli scienziati hanno scoperto che la maggior parte delle cellule possiede un incremento moderato di ripetizioni (circa 60-80) e che solo una minoranza di cellule ne possiede 100-500. Inoltre, quando si verificano più di 150 ripetizioni di CAG nel gene HTT, i neuroni iniziano a perdere parte delle proprie funzioni: ad esempio, i geni che indicano alla cellula di essere un neurone (geni di identità) si spengono e si attivano, invece, geni legati alla senescenza e alla morte cellulare. Non solo, una delle scoperte più sorprendenti riguarda il fatto che la degenerazione dei neuroni avviene in modo asincrono: non tutte le cellule superano la soglia delle 150 ripetizioni nello stesso momento, ma una volta superato questo limite, il neurone si avvia inesorabilmente alla morte cellulare.

Questo studio è rilevante nella comprensione della genesi della malattia di Huntington, oltre a suggerire un nuovo approccio terapeutico. Finora, i trattamenti sviluppati riguardavano la possibilità di ridurre i livelli di espressione del gene HTT per ridurre l’effetto tossico della proteina con tante ripetizioni. Un approccio terapeutico, che non ha avuto successo negli studi clinici sulla patologia. I risultati di questa ricerca, invece, aprono alla possibilità di intervenire su altri geni target, per esempio quelli coinvolti nei processi di riparazione del DNA, che potrebbero “stabilizzare” le ripetizioni nei nuclei quando ancora sono sotto il valore soglia e posticipare l’insorgenza dei sintomi della malattia. 

Sebbene ancora tanti aspetti debbano essere studiati (ad esempio, perché le ripetizioni sono maggiori in alcuni neuroni e non in altri?), questa ricerca fornisce evidenze solide sul ruolo chiave di una soglia di tossicità associata alla lunghezza CAG, aprendo prospettive nuove sia per la diagnosi precoce, che per nuove strategie terapeutiche e per lo studio di altre malattie causate da ripetizioni di triplette in vari geni (attualmente, infatti, si contano più di 50 malattie, tra cui la sindrome dell’X fragile).
 

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