Il carcinoma polmonare a piccole cellule (chiamato anche SCLC da small cells lung carcinoma) è una delle forme più aggressive di tumore polmonare: il suo principale fattore di rischio è il fumo di sigaretta e ogni anno colpisce circa 250.000 persone nel mondo (44.000 solo nel nostro Paese). Sebbene rappresenti solo il 13-15% di tutti i tumori polmonari, due terzi dei pazienti al momento della diagnosi hanno già metastasi e questo comporta prognosi molto sfavorevoli. Recentemente, un team di ricercatori del Francis Crick Institute di Londra, uno dei maggiori centri di ricerca biomedica al mondo, ha compiuto passi avanti significativi nello studio di questo tipo di tumore, pubblicando una ricerca, liberamente accessibile in rete, sulla prestigiosa rivista Nature.
Per comprendere la portata di questa scoperta occorre ricordare che questo tipo di tumore è molto eterogeneo dal punto di vista cellulare: ciò significa che comprende diversi tipi cellulari, tra cui le cellule NE (neuroendocrine, che possiedono proprietà simili ai neuroni e alle cellule endocrine) e le cellule non-NE, che sembrano svolgere un ruolo di supporto alla crescita del cancro. La comunità scientifica ha ampiamente dimostrato – ormai da diversi anni - che in alcuni tipi di tumori, soprattutto quelli più aggressivi, la presenza di cellule con caratteristiche neuronali è legata ad una maggiore aggressività e a un decorso sfavorevole.
I ricercatori del Crick Institute sono partiti proprio da queste considerazioni e si sono chiesti se l’attività elettrica delle cellule NE all’interno del tumore al polmone a piccole cellule avesse un ruolo nella progressione tumorale e se ne potesse influenzare l’aggressività. Utilizzando una combinazione di tecniche di biologia cellulare, genetica ed elettrofisiologia (tra cui la metodica del patch-clamp, che misura le correnti elettriche che attraversano la membrana cellulare) hanno effettuato diverse scoperte interessanti. Innanzitutto, hanno dimostrato che le cellule NE sono eccitabili, cioè sono in grado di generare potenziali d’azione e che le variazioni elettriche di membrana si traducono in cambiamenti di concentrazione di calcio all’interno della cellula (proprio come succede nei neuroni!).
Dal momento che l’emissione di segnali elettrici è un processo che richiede molta energia, gli scienziati si sono successivamente concentrati sullo studio del metabolismo cellulare nei due tipi di cellule. A differenza della maggior parte delle cellule tumorali, che predilige la glicolisi aerobica per la produzione di energia, le cellule NE mostrano alti livelli di fosforilazione ossidativa, processo che consente di produrre ben 36 molecole di ATP a partire da una sola molecola di glucosio. Un altro aspetto interessante riguarda la velocità di assorbimento del glucosio: più basso nelle cellule NE e più alto nelle cellule non-NE. Ma perché? Quando il mezzo di coltura delle cellule non-NE è stato analizzato con la spettrometria di massa, i ricercatori hanno scoperto che conteneva lattato e piruvato, due metaboliti che possono essere impiegati nella fosforilazione ossidativa per la produzione di energia. Ecco che come le cellule della glia supportano i neuroni dal punto di vista metabolico, così anche le cellule non-NE aiutano le cellule NE, fornendo nel microambiente tumorale i metaboliti essenziali per sostenerne le attività.
Gli scienziati hanno poi studiato la correlazione tra l’attività elettrica delle cellule NE e l’aggressività tumorale. Hanno fatto crescere in vitro le cellule NE, analizzando la loro capacità di generare impulsi elettrici, di moltiplicarsi e di dare origine a tumori. Si sono avvalsi a questo scopo di una particolare neurotossina, la tetrodotossina (o TTX) prodotta dal pesce palla, poiché essa è in grado di bloccare alcuni canali di membrana, impedendo la produzione di impulsi elettrici. Cellule NE trattate con la neurotossina non muoiono, ma sono meno efficaci nello sviluppare tumori nel tempo. Questi risultati suggeriscono proprio che l’attività elettrica delle cellule NE sia alla base della capacità del tumore di crescere nel tempo e di diffondersi.
Grazie a questo studio, i ricercatori hanno gettato una nuova luce sui meccanismi molecolari alla base della progressione del tumore al polmone a piccole cellule. Non solo, la scoperta che l’attività elettrica delle cellule NE costituisca un motore della progressione neoplastica, unitamente al fatto che diversi tipi di tumori sono caratterizzati dalla presenza di cellule con caratteristiche “neuronali”, pone le basi per lo sviluppo di nuove strategie terapeutiche che possano bersagliare l’attività elettrica di queste cellule.