SCIENZA

Alle origini della resistenza agli antibiotici

L’antibiotico-resistenza è una delle sfide più urgenti per la salute pubblica. Come reso noto dai rapporti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, ogni anno milioni di persone si ammalano a causa di infezioni che non rispondono più alle cure, rendendo inefficaci farmaci che per decenni hanno salvato tante vite. Ma come si diffondono i batteri resistenti fuori dagli ospedali, nelle nostre case, tra persone apparentemente sane? A questa domanda ha cercato di rispondere un gruppo di ricercatori della National University di Singapore con uno studio pubblicato su Nature Communications, che ha analizzato la trasmissione di batteri resistenti agli antibiotici all’interno di 34 famiglie. 

La ricerca si è concentrata su Escherichia coli ST131, un batterio noto per la sua capacità di adattarsi e persistere. Vive spesso nell’intestino umano senza causare alcun disturbo, in equilibrio con l’organismo che lo ospita. Ma questo equilibrio può spezzarsi. In alcune condizioni, infatti, il batterio diventa patogeno e può provocare infezioni anche gravi. All’interno di ST131 esistono diverse varianti genetiche: alcune hanno acquisito resistenze che le rendono insensibili ai farmaci più usati, come le cefalosporine o i fluorochinoloni. Quando le terapie perdono efficacia, anche un’infezione considerata lieve può diventare difficile da trattare.

Queste le domande che hanno mosso la curiosità dei ricercatori: come un batterio resistente riesce a sopravvivere e a diffondersi, anche quando non provoca malattia? Chi lo trasmette? Come si propaga da una persona all’altra? E perché in alcuni individui resta a lungo, mentre in altri sparisce dopo pochi giorni?

Per rispondere, i ricercatori hanno seguito 34 famiglie per diversi mesi, raccogliendo centinaia di campioni biologici: da feci, alimenti, superfici domestiche e perfino dagli animali di compagnia. Ogni batterio isolato è stato poi analizzato al microscopio della genetica, attraverso il sequenziamento del DNA, che ha permesso di riconoscere le “impronte” di ogni ceppo e di capire quanto fossero simili tra loro. Due genomi quasi identici indicano un legame diretto: probabilmente lo stesso batterio che passa da una persona all’altra, magari senza che nessuno se ne accorga.

Dai risultati è emerso che nei campioni di circa un terzo dei partecipanti c’era il batterio ST131 almeno una volta e che in oltre metà delle famiglie si trovava almeno un membro colonizzato. Alcuni individui sembrano però funzionare da veri serbatoi: ospitano il batterio per mesi, lo mantengono attivo e lo trasmettono con facilità ai conviventi. Nei campioni di questi “portatori persistenti”, come li hanno chiamati i ricercatori, le sequenze genetiche del batterio risultavano quasi identiche a quelle ritrovate in figli, genitori o partner, a volte diverse solo da appena due o tre mutazioni. È un margine minimo, che racconta un passaggio recente e diretto. Altri, invece, perdevano rapidamente la colonizzazione, segno che il batterio non sempre riesce a stabilirsi in modo duraturo.

Un dettaglio interessante riguarda la varietà genetica del ceppo nei portatori persistenti: i loro campioni mostravano più sotto varianti, come se l’intestino offrisse un rifugio accogliente dove il batterio poteva moltiplicarsi in più forme. Nessuna correlazione significativa è stata trovata con età, abitudini alimentari o presenza di animali domestici: la persistenza sembra dipendere piuttosto da fattori ancora sconosciuti, forse legati al microbiota o al sistema immunitario dell’ospite.

Il messaggio che arriva da questo studio è chiaro. I batteri resistenti non si diffondono soltanto negli ospedali, ma anche nelle case, in modo silenzioso e invisibile. Come ogni studio, anche questa ricerca ha dei limiti. Il numero di famiglie coinvolte è ancora contenuto e appartiene ad un’unica regione geografica. Inoltre, i test di laboratorio possono occasionalmente non rilevare la presenza del batterio, sottostimando la durata della colonizzazione. Per la prima volta, però, è stato possibile osservare, nel tempo e con dati genetici precisi, come un batterio multiresistente si muova tra persone sane.

Ogni volta che assumiamo un antibiotico, esercitiamo una pressione invisibile sull’equilibrio microbico che ci circonda. Alcuni batteri muoiono, altri imparano a resistere. Capire questi meccanismi non è un esercizio teorico: significa prevenire un futuro in cui infezioni comuni potrebbero tornare a essere mortali. 
 

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