Pubblicato sul Journal of the American Chemical Society, lo studio firmato dall’Università di Warwick e dall’Earlham Institute, di cui vi parliamo oggi, racconta una scoperta nata quasi per caso. Analizzando come un batterio del suolo produce un antibiotico già conosciuto, i ricercatori si sono imbattuti in una molecola inedita, cento volte più efficace contro batteri che oggi sfuggono ai farmaci.
Il protagonista non è un microbo raro, ma Streptomyces coelicolor, un vecchio compagno della ricerca microbiologica. Vive nel terreno, dove costruisce con pazienza una gamma di sostanze chimiche difensive: tra queste, anche la metilenomicina A, isolata per la prima volta negli anni Sessanta. Per anni quella scoperta è rimasta in ombra, quasi dimenticata. Eppure, guardando meglio il modo in cui il batterio la produce, qualcosa ha iniziato a non tornare.
Per capire il processo, i ricercatori hanno deciso di “seguire le tracce” del batterio, bloccando un gene alla volta e osservando che cosa cambiasse. Ogni volta che un enzima mancava, la catena di reazioni si interrompeva in un punto diverso, lasciando intravedere ciò che normalmente resta invisibile: i passaggi intermedi. È stato un lavoro paziente, quasi artigianale, supportato da tecniche di spettrometria di massa e risonanza magnetica nucleare, strumenti capaci di distinguere molecole prodotte anche in quantità minime.
Il risultato della ricerca? Quattro geni chiave — mmyD, mmyE, mmyO e mmyF — compongono il cuore del meccanismo biosintetico. Ma è con l’eliminazione del gene mmyE che è arrivata la sorpresa: il batterio smetteva di produrre il composto finale e accumulava invece due molecole sconosciute. Una di queste, battezzata premetilenomicina C lattone, si è rivelata dotata di un’attività antimicrobica eccezionale, molto più potente della metilenomicina A stessa. Questa scoperta ribalta un’idea diffusa. Siamo abituati a pensare che la natura “perfezioni” i propri prodotti finali; eppure, qui è l’intermedio a risultare il vero protagonista. È come se l’evoluzione, per proteggere il batterio produttore, avesse lasciato in disparte la molecola più attiva, nascosta in un passaggio di mezzo del suo stesso patrimonio chimico.
Le prove di laboratorio hanno mostrato che bastano quantità minime di premethylenomicina C lattone per ottenere un effetto battericida. Concentrazioni di appena un microgrammo per millilitro erano sufficienti per eliminare S. aureus resistente alla meticillina, mentre ne servivano 256 della metilenomicina A tradizionale per ottenere lo stesso risultato. E nei confronti di E. faecium il nuovo composto si è dimostrato più efficace persino della vancomicina, uno degli antibiotici di “ultima linea” usati quando tutto il resto fallisce.
A distinguere questo lavoro non è solo la scoperta, ma la strada seguita per arrivarci: studiare i processi naturali di sintesi in microrganismi del suolo può svelare intermedi biochimici che la natura stessa ha celato. Come ha osservato Gregory Challis, coordinatore dello studio, “non sempre l’evoluzione perfeziona l’ultimo prodotto; a volte è nel mezzo del processo che si nasconde la vera efficacia”. Naturalmente, si tratta ancora di una fase preliminare. Le prove sono state condotte su colture batteriche e non in modelli animali, e restano da chiarire la stabilità, la tossicità e il meccanismo d’azione della nuova molecola. Tuttavia, l’idea che i microrganismi possano racchiudere nei loro passaggi intermedi composti tanto attivi apre prospettive inedite per la scoperta di nuovi antibiotici.
In un’epoca in cui la resistenza ai farmaci minaccia di rendere inefficaci molte cure, questa ricerca suggerisce una strada diversa: non solo creare nuove molecole in laboratorio, ma imparare dalla chimica nascosta della natura, dove potrebbero celarsi risposte ancora inesplorate a problemi sempre più urgenti.