SCIENZA

Una nuova bioplastica che si auto-degrada

In un recente studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature Materials e liberamente consultabile dal web, un team di scienziati dell’Università di San Diego in California ha sviluppato un nuovo tipo di plastica capace di auto-degradarsi una volta dispersa nel terreno. Una scoperta che apre scenari inediti e che potrebbe portare a significativi avanzamenti tecnologici e ambientali, rendendo i materiali del futuro più sostenibili ed ecologici. I ricercatori coinvolti in questo progetto sono specializzati nel campo dei materiali viventi ibridi, ottenuti cioè combinando organismi viventi con polimeri sintetici per arrivare a sviluppare nuovi composti con proprietà uniche. Questo campo, in rapida evoluzione negli ultimi anni, ha già consentito di produrre materiali capaci di rispondere a stimoli come la luce, i nutrienti e le sostanze chimiche, ed usati per diverse applicazioni, dai dispositivi elettronici indossabili ai sistemi di rilascio di farmaci o ancora nei cerotti per accelerare la guarigione delle ferite. In questa ricerca, gli scienziati hanno combinato poliuretani termoplastici (TPU), materiali a base di poliestere, con le spore di Bacillus subtilis, un microrganismo sicuro per la salute umana e noto per la sua capacità di degradare polimeri a base di poliestere. Ma come ci sono riusciti?

Alcuni batteri, come Bacillus subtilis, nel proprio ciclo vitale danno vita alle spore, forme di resistenza in grado di tollerare condizioni ambientali estreme, come elevate temperature e alta pressione o presenza di radiazioni e sostanze tossiche. Le spore sono vive, ma metabolicamente dormienti: non appena le condizioni ambientali lo permettono, esse sono in grado di germinare e dare vita nuovamente ai microrganismi. Tuttavia le spore di questo batterio sono in grado di sopravvivere solo per pochi minuti a una temperatura di 100°C, mentre i processi industriali che producono le termoplastiche richiedono temperature anche superiori ai 130°C. Come affrontare questa sfida? 

Gli scienziati hanno utilizzato l’evoluzione adattiva di laboratorio o ALE (dall’inglese Adaptive Laboratory Evolution), una tecnica di ingegneria evolutiva che applica i principi della selezione naturale, cioè mutazioni e selezioni successive, per ottenere microrganismi con le caratteristiche desiderate. Proprio come avviene in natura, i ricercatori hanno sfruttato il naturale verificarsi di mutazioni durante la crescita e la divisione di B. subtilis, selezionando man mano i batteri capaci di produrre spore resistenti a temperature via via più elevate. Le spore così ottenute sono state poi incorporate al poliuretano termoplastico (TPU) per la produzione di un nuovo materiale biocomposito dalle caratteristiche uniche. I ricercatori, infatti, hanno dimostrato che il nuovo materiale ha proprietà di trazione migliori (rispetto al TPU senza spore) e che, una volta immesso nel terreno, è in grado di auto-degradarsi in poco tempo. Le spore di B. subtilis, infatti, grazie all’umidità e ai nutrienti presenti nel suolo, si riattivano producendo batteri in grado di degradare il 90% del TPU in soli 5 mesi.

Questa scoperta apre le porte a una nuova generazione di materiali sostenibili per applicazioni più svariate, dimostrando che è possibile integrare in modo efficace materiali viventi (come le spore batteriche) e polimeri plastici. L’uso di microrganismi come additivi nei polimeri non solo migliora le proprietà meccaniche dei nuovi materiali, ma ne facilita anche la degradazione riducendo l’impatto ecologico dei materiali sintetici.
 

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