Recentemente un gruppo di ricercatori della RPTU University Kaiserslautern-Landau in Germania, guidati dalla scienziata Zuzana Storchová, ha pubblicato uno studio, liberamente accessibile sulla rivista EMBO Journal, che chiarisce come le cellule tumorali riescano ad aggirare gli effetti negativi dell’aneuploidia, cioè il possedere un numero di cromosomi diverso rispetto alla situazione normale.
Tutti sappiamo che le nostre cellule contengono nel proprio nucleo 23 coppie di cromosomi: quando questo equilibrio viene meno si parla di aneuploidia, una condizione molto frequente nelle cellule tumorali (si stima che il 90% dei tumori contenga cellule aneuploidi). La presenza di cromosomi extra normalmente compromette la vitalità delle cellule: il DNA inizia ad accumulare danni, l’espressione genica si modifica, la replicazione viene compromessa e le cellule vanno incontro al cosiddetto “stress replicativo”. Nonostante l’aneuploidia, le cellule tumorali sono in grado di sopravvivere e a prendere il sopravvento sulle altre: è stata proprio questa osservazione a porre le basi dello studio. Come fanno le cellule tumorali a ridurre gli effetti negativi dello squilibrio cromosomico? Come riescono a sfruttare questa situazione a proprio vantaggio?
Per rispondere a queste domande gli scienziati hanno seguito due strade: da una parte hanno effettuato degli esperimenti in vitro utilizzando come sistema modello linee cellulari umane, che avessero uno o più cromosomi extra, dall’altra hanno analizzato i dati genomici e proteomici di tantissimi campioni di tumori umani presenti nei database per confrontare i livelli di espressione di specifici geni in base al grado di aneuploidia.
Per ottenere cellule umane con cromosomi aggiuntivi, nello specifico i cromosomi 5 o 21, i ricercatori hanno impiegato la microcell-mediated chromosome transfer, una tecnica di biologia cellulare che permette di trasferire un cromosoma specifico da una cellula donatrice a una ricevente. Poi le cellule sono state messe in coltura e sono state seguite nel tempo: dopo una fase iniziale, alcune linee cellulari tornavano a proliferare, come se si fossero adattate a questa nuova condizione. Studi di proteomica e genomica hanno consentito agli scienziati di analizzare le variazioni nell’espressione genica e nell’abbondanza delle proteine sia nelle linee cellulari che nei campioni tumorali. È emerso che le cellule adattate alla condizione di aneuploidia esprimono livelli maggiori di proteine coinvolte nei processi di replicazione e riparazione del DNA, cosa che permette loro di aggirare lo stress replicativo. Ed è proprio ciò che accade anche nei tessuti tumorali di pazienti, dove si registra un aumento di proteine necessarie alla replicazione del DNA (e questo spesso è correlato a prognosi sfavorevoli). Allo stesso tempo, le linee cellulari aneuploidi mostrano aumentati livelli di un particolare fattore trascrizionale, FOXM1, una proteina che promuove il ciclo cellulare. Non solo, gli scienziati hanno anche osservato che se le cellule tumorali con 3 copie del cromosoma 5 perdevano il braccio 5q proliferavamo molto meglio di quelle che perdevano l’altro braccio (il 5p). Ciò è probabilmente associato al fatto che sul braccio 5q sono presenti geni oncosoppressori, mentre sull’altro (il 5p) oncogeni: rimuovere un blocco alla proliferazione permette a queste cellule di adattarsi meglio e di crescere.
I dati pubblicati in questo studio mostrano che, anche se inizialmente lo squilibrio cromosomico riduce la capacità delle cellule di dividersi, alcune di esse, così come accade per i tumori, sono in grado di adattarsi alla nuova situazione, aumentando i livelli di specifici fattori trascrizionali e perdendo “pezzi” di cromosomi che frenano la proliferazione. Questa ricerca apre la strada all’individuazione di nuovi possibili target terapeutici: se le cellule tumorali hanno bisogno di potenziare alcune vie di proliferazione per compensare lo squilibrio cromosomico, allora queste stesse vie possono diventare il bersaglio di farmaci o molecole. Questo studio rappresenta un passo avanti significativo nella comprensione di come evolvono le cellule poliploidi, ma rimane ancora molto da scoprire: ad esempio, per quanto utili, gli studi in vitro non riescono a riprodurre completamente le condizioni complesse di un organismo. O ancora, i tempi con cui è stata seguita l’evoluzione cellulare sono abbastanza brevi (poche settimane), mentre nei tumori umani sappiamo che i cambiamenti nell’assetto cromosomico potrebbero durare anni.