L’Organizzazione Mondiale della Sanità stima che, entro il 2030, circa 75 milioni di persone nel mondo dovranno convivere con la demenza e che questo numero è destinato ad aumentare (circa 10 milioni di nuovi casi all’anno). La forma più comune di demenza è la malattia di Alzheimer, che nei Paesi sviluppati colpisce circa il 5% degli ultra 65enni e il 20% degli ultra 85enni. Sebbene si sappia che la malattia di Alzheimer sia legata all’accumulo di proteina Beta amiloide e Tau nel cervello e alla progressiva morte delle cellule nervose, le cause che portano alla morte dei neuroni sono ancora poco conosciute.
Uno studio, condotto dai ricercatori della North Western University di Chicago e pubblicato da poco sulla prestigiosa rivista Nature Communications, ha per la prima volta evidenziato il ruolo di brevi filamenti di RNA nella morte dei neuroni nella malattia di Alzheimer. Analizzando modelli in vivo e in vitro che riproducono la malattia, ma anche soggetti umani sani e malati, gli scienziati hanno scoperto che corti filamenti di RNA, detti anche RNA “tossici” sono in grado di bloccare la sintesi di proteine cruciali per la vita delle cellule nervose, portandole alla morte. L’azione di questi brevi RNA è contrastata da altri corti filamenti di RNA, detti “protettivi”, poiché ne bloccano l’azione. Tuttavia, gli studi hanno evidenziato come nel corso della vita di una persona le quantità di RNA “tossici” e “protettivi” non rimangano costanti, ma la quantità di RNA “protettivi” diminuisca all’aumentare dell’età. Ciò consente agli RNA “tossici” di prendere il sopravvento e di portare le cellule nervose alla morte, cosa che determinerebbe lo sviluppo della malattia di Alzheimer. Non solo, i ricercatori hanno scoperto anche che persone con capacità di memoria molto superiori alla media hanno, nelle loro cellule nervose, quantità di RNA “protettivi” più alte rispetto a soggetti normali o malati a parità di età.
Ma perché questa scoperta è rilevante e quali implicazioni comporta? Perché per la prima volta questo studio collega le attività degli RNA (detti anche sRNA da short RNA) alla patologia di Alzheimer, ma soprattutto perché apre le porte a nuove opportunità terapeutiche. L’idea dei ricercatori è quella di stabilizzare o addirittura aumentare i livelli di RNA “protettivi” nelle cellule nervose malate così da contrastare l’azione degli RNA “tossici”, riducendo la morte dei neuroni e ritardando la comparsa dei sintomi della neurodegenerazione.