Gli oceani, che ricoprono il 71% della superficie del nostro Pianeta e contengono il 97% delle acque presenti su di esso, sono fonte di cibo, energia, materie prime e minerali. Regolano il clima sulla Terra e, assorbendo quasi il 30% dell’anidride carbonica prodotta dall’uomo, contribuiscono a diminuire l’impatto del riscaldamento globale del Pianeta. Non solo, essi ospitano la più grande biodiversità di esseri viventi e forniscono sostentamento a più di 3 miliardi di persone.
Eppure, conosciamo ancora così poco della composizione biologica degli oceani e soprattutto dei processi biochimici e metabolici utilizzati da batteri, virus, funghi e dagli altri organismi acquatici. Sappiamo però che questa conoscenza è essenziale, poiché il pool di geni espressi dagli organismi acquatici rappresenta una risorsa importante per una vasta gamma di applicazioni biotecnologiche in settori come la ricerca scientifica, la salute, l’energia e l’alimentazione. Pensiamo, ad esempio, all’impatto che ha avuto la scoperta della proteina GFP (green fluorescent protein), isolata per la prima volta nelle meduse e ora utilizzata nei laboratori di ricerca di tutto il mondo nella diagnostica per immagini, oppure alla scoperta della DNA polimerasi nei batteri termofili e al suo impiego nella tecnologia della PCR.
Ma come aumentare la nostra conoscenza degli organismi marini e soprattutto dei loro genomi? Ce lo mostra uno studio, pubblicato recentemente su Frontiers e liberamente consultabile online, in cui per la prima volta è stato costruito un catalogo del genoma oceanico globale, il Global Ocean Gene Catalog 1.0 della KAUST Metagenome Analysis Platform (KMAP). In particolare, i ricercatori hanno analizzato sequenze di DNA provenienti da più di 2.000 campioni oceanici prelevati a diverse profondità e in differenti luoghi del Pianeta, identificando 317.5 milioni di gruppi di geni. Abbinando queste informazioni alla posizione del campione e al tipo di ecosistema in cui le acque sono state prelevate, è stato costruito un catalogo senza precedenti su quali microrganismi vivono nei vari luoghi e su quali processi metabolici compiono.
Come è stato possibile? E come gli scienziati hanno raccolto ed analizzato tutti questi dati?
I ricercatori hanno studiato il metagenoma marino, cioè hanno estratto ed analizzato il DNA genomico presente in campioni di acque di diversi oceani e mari. Grazie all’evoluzione delle tecniche di sequenziamento, che ora possono essere eseguite a costi ridotti, in tempi brevi e con sensibilità altissima, gli scienziati hanno sequenziato il DNA estratto dai campioni marini e l’hanno analizzato per scoprire quali geni fossero presenti e a quali organismi tali geni appartenessero. Questa tecnologia, detta anche metagenomica, consente perciò di analizzare il genoma degli organismi che vivono in un ambiente senza la necessità di metterli in coltura ma utilizzando il solo materiale campionato.
Gli scienziati hanno scoperto che, considerando i 4 domini tassonomici (Archea, Batteri, Eucarioti e Virus), i batteri costituiscono il dominio di gran lunga più rappresentato sia nei campioni di acque superficiali sia in quelli di acque profonde, bentoniche e mesopelagiche. Non solo, i dati mostrano che le acque meno profonde sono più ricche di geni virali ed eucariotici, mentre le profondità inferiori a 200 m sono relativamente ricche di geni di archeobatteri. Il fondale marino è caratterizzato da gruppi di geni sia di batteri che di archeobatteri, mentre i campioni di acque superficiali presentano la più alta concentrazione di sequenze geniche di tipo virale. Gli scienziati hanno anche dimostrato che più della metà dei gruppi di geni presenti nelle acque mesopelagiche appartengono ai funghi, evidenziando così il loro ruolo cruciale nel ciclo degli elementi chimici nelle acque oceaniche. Ma non finisce qui! Gli scienziati hanno compiuto anche analisi di metagenomica funzionale, ovvero hanno studiato in quali processi biochimici i gruppi di geni scoperti fossero coinvolti. Sappiamo, infatti, che i processi metabolici microbici regolano e modellano l’oceano contribuendo alla formazione e alla degradazione di tantissime molecole che hanno anche effetti sul clima, come ad esempio il carbonio, l’azoto e lo zolfo.
Questo studio contribuisce a comprendere meglio gli oceani e come gli organismi che lo popolano possono modellare gli ecosistemi e influenzare il clima, ma sarà anche utile per monitorare gli effetti delle attività antropiche sulle acque oceaniche e per fornire nuovi strumenti biotecnologici potenzialmente utili per lo sviluppo di nuovi farmaci, di nuove forme di energia e per l’agricoltura. Le informazioni raccolte non sono esaustive: ci offrono una fotografia delle zone analizzate, ma ancora molto rimane da scoprire, soprattutto se pensiamo che le acque bentoniche e profonde rappresentano rispettivamente solo il 5% e il 10% dei campioni analizzati e che lo studio non ha preso in considerazione il vasto mondo dei virus a RNA.