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A lezione di GFP!

GFP, ovvero Green Fluorescent Protein, un acronimo utilizzato in tantissimi laboratori di ricerca di tutto il mondo e che è valso ad alcuni scienziati anche il Premio Nobel per la Chimica nel 2008: ma di che cosa si tratta? E come parlarne in classe?

La GFP, isolata in Aequora victoria, una medusa bioluminescente che vive nell’oceano Pacifico, è una proteina costituita da poco più di 230 amminoacidi, che si ripiegano in una struttura tridimensionale a forma di barile. La sua particolarità consiste nella capacità di emettere luce verde quando viene raggiunta da una radiazione luminosa ad una specifica lunghezza d’onda (tra i 395 e i 475 nm). In sostanza, quando la luce colpisce la proteina, l’energia acquisita consente ad alcuni elettroni degli amminoacidi al centro della sua struttura e formanti il gruppo fluoroforo, di passare da uno stato fondamentale a uno eccitato. Il ritorno allo stato fondamentale determina l’emissione di energia sotto forma di radiazione luminosa di colore verde (505 nm nello spettro visibile). La sua struttura molecolare è illustrata in questa pagina del database Protein Data Bank, che ha dedicato proprio alla GFP la rubrica “Proteina del mese”, e in italiano nelle pagine del sito Pianeta Chimica.

La GFP è ampiamente utilizzata nei laboratori di biologia cellulare e molecolare in tutto il mondo grazie alle sue dimensioni contenute (solo 27 kDa) e alla presenza al suo interno del gruppo fluoroforo, che quindi non richiede ulteriori manipolazioni della proteina per farle emettere fluorescenza. Non solo, i ricercatori che si sono aggiudicati il Premio Nobel per la Chimica nel 2008 hanno scoperto che, se posta sotto il controllo di un promotore e poi inserita all’interno di un organismo vivente (come ad esempio un nematode), l’organismo è in grado di sintetizzare copie perfettamente funzionanti di GFP. Ed ecco che se ci troviamo in presenza di proteine dalla funzione sconosciuta è sufficiente costruire una versione chimerica “attaccando” la GFP alla proteina in esame e seguire la sua espressione nelle cellule o negli organismi di interesse. Illuminando il campione biologico con luce UV o blu, l’emissione di luce verde indicherà in quali comparti cellulari o in quali tessuti la proteina di interesse (fusa con la GFP) si trova e questo fornirà alcune indicazioni rispetto alla sua funzione. 

Sono tante le risorse didattiche che si possono utilizzare per introdurre il tema della bioluminescenza e dell’impiego della GFP nei laboratori di ricerca. Ad esempio, in questo articolo di Sonia Furtado, edito da Science in School, si ripercorre la scoperta della GFP e di come viene impiegata oggi nei laboratori di biologia molecolare. O ancora sul sito di Protein Data Bank è possibile scaricare e costruire un modello cartaceo della GFP, in cui è ben evidente la struttura tridimensionale della proteina, o addirittura le informazioni per la stampa 3D della molecola.

In questo video disponibile sulla pagina YouTube di CCM Italia, invece, alcune studentesse in Biotecnologie mediche dell’Università di Torino ripercorrono in modo didattico la scoperta della GFP, il suo funzionamento e come questa proteina abbia rivoluzionato il mondo della ricerca. L’uso delle proteine fluorescenti è diventato essenziale nella biologia cellulare e continua ad essere affinato in diversi campi della scienza, dalla ricerca di base alla microscopia ai biosensori, grazie anche alla facilità di ingegnerizzare la proteina e di ottimizzarne le proprietà fisiche, ottiche e chimiche.
 

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